ED ORA UN PO’ DI STORIA…

Il culto di S. Terenziano nell’alta val Taro risale al periodo della seconda evangelizzazione del territorio appartenuto al municipio romano di Velelia, che si estendeva in val di Taro ed apparteneva fino dal tempo della prima evangelizzazione, databile dal quarto secolo, alla Diocesi di Piacenza.

Il secondo annuncio del Vangelo nel territorio piacentino avvenne nei secoli VI – VII ad opera dei Longobardi e, nella montagna, soprattutto ad opera dei monaci di S. Colombamo.
Secondo Piero Bognetti, acuto conoscitore della storia del Longobardi, (nel suo studio I “Loca Sanctorum”, e la storia della Chiesa nel Regno dei Longobardi, in «Rivista della Chiesa in Italia», 2(1952), pp. 165-204) Terenziano sarebbe uno dei santi da lui definiti “dei presidi”.
I duchi che governavano il popolo di Alboino erano soliti porre a presidio dei loro confini soldati non del luogo, ma provenienti da altri ducati, perché non legati agli abitanti indigeni e perciò più sicuri nel reprimere possibili rivolte.
Indubbiamente nell’avanzata verso la marittima, o Longobardi trovarono in val di Taro delle resistenze notevoli, in quanto Torresana (l’antica Borgotaro) era territorio appartenente ai Bizantini, che si erano qui arroccati dopo la fine della guerra gotica nel 502.
A guardia di strade che da Veleia si dirigevano verso la marittima, in luoghi strategici, come gli attuali Compiano e Borio eressero delle torri in cui posero dei presidi.

Quello insediato a Borio dovette essere umbro, e precisamente di Todi, per cui, a protezione della torre pose il loro patrono S. Terenziano, primo vescovo della loro città.
Più a valle della torre si estendeva un piccolo altopiano, designato dai documenti medioevali on il nome Campus-planus, che anticamente aveva conosciuto la presenza romana, come risultò da scavi archeologici condotti nel territorio di Isola.
Quella parte di Campoplano che era più vicino alla torre del presidio di Todi, aveva però un altro appellativo come risulta da un rogito del 1186, che lo nomina come Campus Boarius.
Borio, in effetti, ancora agli inizi del 1600, veniva detto Boario.
Il Campo Boario altro non era che un’ampia estensione di terra all’incontro di strade importanti, facilitate da un ponte romano sul fiume Taro, in cui i romano-.veleiati tenevano un mercato di bovini.
I monaci delle abbazie di Bobbio e di S. Paolo di Mezzano Scotti avevano avuto in dono dai i re longobardi vaste estensioni appartenenti al territorio regio (noi diremmo demaniale), sia nel Campoplano che nella Marittima, in particolare nella zona di S. Pietro Vara e Deiva Marina.
Il cenobio medianense aveva in particolare le terre che dipendevano dalla Pieve di Compiano (l’attuale Pieve di Campi, in comune di Albarato), mentre quello bobbiese possedeva le zone dipendenti dalle pievi di S. Giorgio di Torresana (Borgotaro) e di S. Quirico di Legio (in comune di Albareto).

Nella zona del Campus Boarius, i religiosi posero una loro cella con relativa chiesetta, in cui, con ogni probabilità, trasferirono la venerazione di S. Terenziano, già praticata nella torre di Borio ed esercitarono la loro azione missionaria nei confronti delle popolazioni limitrofe.
La data dell’antico mercato fu fatta coincidere con il giorno 1° settembre, in cui si celebra l’anniversario del martirio del Santo, avvenuto, secondo la tradizione, al tempo dell’imperatore Adriano (che regnò dal 117 al 138).
Il capitano Antonio Boccia nel suo Viaggio ai monti di Parma, parla della sua visita a Borio, afferma di essere stato nel luogo ove esistettero il piccolo monastero e la chiesa, nel luogo ancora indicato dagli agricoltori cofinanti, e cioè molto più in basso dell’antico palazzo – torre, vicino alla strada che porta alle cosiddette Casette in Canadà, presso la fabbrica di ceramica.
Il capitano assicura di avere battuto sull’antico con il piede sul pavimento ancora esistente e di avere sentito dei rimbombi entro vani sotterranei ed aggiunge che nelle vicinanze erano state ritrovate molte monete romane.
Il Boccia nulla sapeva del Campus Boarius, ma è risaputo che le monetine si trovano maggiormente sparse nei luoghi frequentati per motivi commerciali.
A conferma, lo scrivente ricorda di avere sentito da persone anziane e da qualche sacerdote una specie di bonario rimprovero: Voi di Isola avete rubato S, Terenziano a Borio!
Sia l’imperatore Corrado II, il 27 febbraio 1031, che il papa Celestino III, in una bolla del 29 aprile 1195, confermarono all’abate del Mezzano ed al suo monastero il mercato in Campoplano, che però esisteva, come si è detto, prima che vi fosse unita la festa di S. Terenziano, e cioè fino dal tempo in cui la Res Publica Veleiatum, nel periodo del Tardo Impero, aveva promosso lo scambio, nel Campus Boarius, dei prodotti delle popolazioni liguri, che avevano i loro insediamenti estesi dalla costa lunense fino al declivio delle colline piacentine.
Esiste nell’Archivio Parrocchiale di Isola un registro su cui furono segnate le offerte delle Messe che venivano fatte celebrare in onore del Santo, dal 1861 al 1911. Provvidenzialmente oltre al nome e cognome dell’offerente veniva annotato il luogo di provenienza: si tratta di 209 dalle province di Cremona, Genova, La Spezia, Massa Carrara, Parma e Piacenza.
Luisa Banti nel 1929 e Umberto Formentini nel 1954 pubblicarono accurati studi sulle strade romane che dalla Liguria conducevano verso Veleia o i territori piacentino e parmense. Ancora agli inizi del 1900 dai paesi e dalle borgate toccate da quelle strade venivano commercianti e pellegrini alla grande festa della montagna.
Il letterato cremonese Francesco Piccinelli, in una lettera del 1 agosto 1617, segnalava che alla fiera, che durava tre giorni, giungevano anche mercanti di Bergamo, Brescia e Milano.

I discendenti della Casa Landi, feudatari delle valli del Taro e del Ceno, per la circostanza inviavano truppe a presidiare i valichi perché il grande flusso di gente non fosse turbato da briganti e ladroni.
Il principe Federico detto il Grande, fece coniare, all’inizio del 1600, una moneta su cui era l’effigie del Santo e l’iscrizione: Sanctus Terentianus protector noster.
Commovente fu sempre l’aspetto religioso della manifestazione: dalle valli di Vara, Zeri, Taro, Ceno, Arda, Nure, Aveto e Trebbia, giungevano i pellegrini, alcuni scalzi, che passavano la notte in chiesa vegliando e pregando, si accostavano ai sacramenti, facevano celebrare la Messa in onore del Santo, portavano a casa l’immagine ricordo, lo pregavano e lo invocavano soprattutto come ausiliatore degli ammalati di artrite e di artrosi.
In questi ultimi anni la festa è completamente rinata, grazie all’abnegazione, alla tenacia, alla concordia degli abitanti di Isola.
La festa è ritornata di tre giorni: il 1 settembre è a carattere strettamente religioso, con celebrazioni liturgiche e un’imponente processione alla sera, come commemorazione dell’antico pellegrinaggio, a cui partecipano i fedeli della val di Vara, con i famosi “Cristi”.
Il primo sabato e la prima domenica di settembre le vie del piccolo borgo sono brulicanti di gente che ritorna dai luoghi di sempre e la chiesa affollata in continuità per le celebrazioni sacre.